Non tanto un progetto quanto una ricerca che tento progressivamente di portare nella mia vita e nel mio lavoro di facilitazione culturale. Uno sforzo costante di coerenza che accetta la mancanza di identità. Stare nel movimento dell’essere senza rimanere disorientati e persi, e senza ignorarlo o negarlo. Ci sono tanti modi di dire l’essere. Il discorso (che scorre), la parola dialogata, è l’unico luogo dove la verità vive senza mai apparire. Allo stesso modo dentro all’agire, al di là dell’essenza, del dire e del fare, si trova un bene prezioso che non può manifestarsi a noi altrimenti che nei rapporti tra le cose. La questione che mi pongo è se questa stessa non sia pur sempre “un’identità”, uno dei modi.
La domanda da cui parto è: laddove sembra che un ambiente resti uguale e che la persona sia radicata, è impossibile che ciò avvenga proprio grazie a un’intesa con l’essere in movimento? E’ davvero impossibile oggi riconoscere una fede come sostrato di questi vari modi di stare al gioco. Non c’è forse ragione di temere che le radici ci rendano immobili?